lunedì 5 settembre 2011

Partire (la casa vuota)


Tutti gli scatoloni erano entrati nell'auto, anche se con grande difficoltà. Madeline sistemò al meglio il sedile per poter guidare senza noie. Azionò l'auto che si avviò al primo colpo. Poi spense il motore. Si accorse di non aver lasciato le chiavi sotto lo zerbino come la padrona aveva richiesto. Così uscì dalla vettura e, arrivata alla porta... esitò. Inserì la chiave nella serratura ed entrò nell'abitazione. Dentro era spoglia ma manteneva i segni della sua esistenza: le impronte dei quadri lasciate sul muro, tavoli segnati, le sagome nelle superfici dove la polvere non si era ancora depositata. L'eco risuonava più che mai prima. Nonostante il sole sparasse intensi raggi all'interno era come se piovesse. Madeline fissò uno spigolo, avrebbe voluto staccarlo e portarlo via come ricordo. Fece un lento girò di tutte le stanze accarezzando le pareti, il saluto funebre di un addio. A cammino concluso si sdraiò al suolo proprio al centro della grande stanza d'ingresso. Cercò il vuoto dentro di sé, un attimo di pace, il raccoglimento prima di un nuovo viaggio, una preghiera silenziosa che si affaccia sull'ignoto. In Madeline riemerse un pensiero ritrovato nell'autunno ormai arrivato al termine: la scadenza degli amori e lo svanire della bellezza nel netto contrasto col desiderio di averli entrambi per l'intera vita. Dal suo momento malinconico sorse una piccola curva che segna le labbra: la consapevolezza della banalità e la serenità di potersi permettere il lusso di tali vaneggiamenti.
Si sedette e strinse le ginocchia a sé. Iniziò a toccarsi le spalle, poi le braccia, le gambe come per coccolarsi, come per sentire i suoi confini, margini, spigoli. Si ritrova umana, limitata, viva.
Dopo un tempo indefinito si rialzò: era ora di partire. Uscì chiudendo la porta e diede tutti e quattro i giri di chiave. Quando esse caddero dentro la buchetta riprodussero un suono intenso ma si dissolse in un istante, lasciando più silenzio di prima. Un silenzio che non avrebbe ascoltato per molto tempo.

giovedì 11 agosto 2011

You must love me (ogni uomo è suddito agli occhi di un re)

Why are you at my side?
How can I be any use to you now?

Il Principe andò a trovare la Principessa alla sua dimora. Si erano conosciuti durante la Notte dei Limoni e da allora il desiderio di rivedersi voleva essere esaudito da entrambi. La Principessa gli annunciò di farsi trovare al Grande Cancello quando il sole avesse toccato la punta più alta del cielo, e lì di aspettare.
Così fu...
Arrivato a destinazione, il Principe si stupì che la Principessa non abitasse in un castello, bensì in una grande dimora. Seguì l'alto muro di recinzione fino ad arrivare davanti a due enormi lastre di ferro che facevano da cancello. Oltre le mura si poteva osservare il tetto della nobile reggia, alberi in fiore, farfalle. Il Principe si emozionò: così tanta bellezza in uno scorcio di cielo. Voleva vedere al suo interno, ma arrampicarsi non era possibile. Poi, osservando più attentamente, vide una parte più consumata del cancello che incorniciava una fessura. Appena prima di avvicinare gli occhi ad essa si accorse subito di avere appoggiato le mani e la fronte sulle zone del cancello più chiare e lucide, segni di usura dovuti ai numerosi viandanti con la stessa curiosità di sbirciare.
All'interno un maestoso giardino e una reggia regale.
Il Principe fu segnato da una lacrima. Amore e passione.
Dalla fessura si potevano respirare persino il profumo dei fiori.
Il Principe rimase immobile per un tempo indefinito a scrutare ogni angolo osservabile da quella stretta fessura fino a quando il Grande Cancello si mosse ed iniziò ad aprirsi.
Lo stomaco gli balzò in gola e il battito cardiaco accelerò. Con incedere elegante e gli occhi desiderosi di vederla entrò nel giardino. Un particolare, che tanto particolare non era, fu scoprire che i colori non erano così brillanti come vide dalla fessura, ma tutto era più tenue, malinconico e solitario. La magia che però più colpì il Principe fu il notare l'allontanarsi di piante, statue, oggetti ad ogni suo passo. Non poté avvicinarsi a nulla. Ebbe timore che persino il gesto di toccare il suolo portasse a farlo sprofondare in un baratro.
Alzò lo sguardo e la vide ad aspettare davanti all'ingresso della casa. L'edificio sembrava ben diverso da quello scrutato dalla fessura. Ai suoi occhi, ora, quella reggia era un palazzo dall'antico fascino ma carente di ogni cura.
Poi lei: bellissima, leggera, sorridente, vivente ma quasi eterea. Entrambi si guardarono e sorrisero: uno dei loro momenti più veri e profondi. Il Principe voleva baciarla, toccarla, per un attimo pensò che avrebbe potuto vivere l'intera vita con lei. Non fece trapelare alcuna fantasia e si inchinò al suo cospetto, come umile e fiero cavaliere. La Principessa rispose con un inchino poco regale e, da quel suo gesto, si riconobbe un diverso approccio ai più consueti insegnamenti dati ad ogni fanciulla di nobile famiglia. Lei accennò un gesto di accoglienza e gli disse:
- Ora ti mostrerò la mia casa. Segui ogni mio passo e non toccare nulla -
Insieme entrarono.
All'interno del palazzo si stupì della totale assenza di persone: la Principessa viveva da sola in un edificio abbandonato. Ogni angolo era in disuso, montagne di oggetti accatastati coprivano le pareti. Ogni cosa attorno a loro sembrava essere fatta di una lega magica di ferro, legno, ogni tipo di materia con carne viva in putrefazione. Il Principe voleva fare domande, ma qualcosa lo trattenne. Voleva baciarla, ma in quel momento preferì seguire il suo passo e aspettare che fosse lei a dare segnali. La Principessa però non disse mai nulla e per tutto il cammino non fece che indicare al Principe zone del luogo.
Fu ad un certo punto che il Principe notò l'ennesimo particolare: dal braccio sinistro della Principessa fluiva un rivolo di sangue che scendeva sul palmo della mano fino all'anulare. Dal dito cadevano gocce sul un suolo che sembrava assorbirlo come fosse nutrimento vitale.
Salirono la scalinata centrale e il Principe si aiutò appoggiandosi al corrimano. Tutto poi si svolse in un attimo: il Principe ritrasse d'impulso la mano e la vide imbevuta di rosso; il rivolo della Principessa scorse d'improvviso più forte e il flusso le coprì l'intero braccio. Lei si girò, e con sguardo fermo e deciso gli ricordò di non toccare nulla. Lui non si scusò, ma si rivolse amorevole e preoccupato. Nessuno ha mai saputo cosa egli disse, ma si racconta che il Principe conoscesse un modo per alleviare la sofferenza della sua amata. La Principessa però non voleva ascoltare e sollevò un muro invalicabile per proteggersi. Il muro non c'era, eppure il Principe lo vedeva. Sembrava della stessa materia di ogni cosa all'interno della dimora. La Principessa diede poi le spalle al Principe e riprese la scalinata. Il Principe avrebbe voluto sfondare il possente muro che la fanciulla aveva costruito intorno a sé, ma temeva di farle ancora dolore. Poi capì che il muro era un'illusione. Andò così al fianco della fanciulla e le prese la mano insanguinata. La mano della Principessa rimase immobile. Lei si ferma e gli rivolse il viso. Il suo sguardo era dolce, amorevole ma nel contempo distaccato. Sembrava desiderasse affetto e aiuto ma il Principe dedusse che affetto e aiuto erano proprio stati carnefici della sua maledizione.
La Principessa sfilò la mano e continuò la scalinata fino in cima, poi si fermo e senza girarsi disse:
- Ora devo andare - e si diresse verso l'oscurità del palazzo fino ad esserne inghiottita.
Il Principe rimase immobile ed interdetto. Sentì una fitta e qualche traccia di sangue cadde sul pavimento. Le sue gocce però non venivano assorbite dal suolo stregato.
La Principessa non tornò. Il Principe provò a chiamarla ed aspettarla, ma invano. Poteva solo andarsene. Solo allora si accorse che uscire dal palazzo sarebbe stato più difficile che entrare: il portone era chiuso. Il Principe sapeva infatti che avrebbe ancora fatto soffrire la Principessa, ma non sembrava esserci altra scelta. Così prese deciso la maniglia e si aprì l'uscita. Le sue orecchie erano in allerta, sarebbe corso in soccorso all'ascolto di ogni suono lieve di sofferenza o grido di dolore, ma nulla.
Nuovamente nel giardino vide al fondo il cancello già aperto.
Osservò per l'ultima volta quel luogo magico e irreale.
Scorse le finestre sperando di incrociare ancora una volta il suo sguardo.
Si incamminò lasciando alle spalle orme di un sangue non suo.

martedì 9 agosto 2011

Il Nettaculo

Spulciando le vecchie ricerche universitarie tornano alla luce Perle di Conoscenza.
Quando la serendipità fa capolino la gioia pervade e tutto il resto è noia.

[...] Passiamo alla serie degli escrementi. Questa serie occupa un posto di non scarsa importanza nel romanzo. Il contagio di Antifysis ha imposto una forte dose di antidoto di Fysis. La serie degli escrementi serve fondamentalmente a creare i più inattesi vicinati di cose, fenomeni e idee che distruggono la gerarchia e materializzano il quadro del mondo e della vita.

Come esempio di creazione di vicinati inattesi può servire il «tema del nettaculo». Il piccolo Gargantua pronuncia un discorso sui vari modi da lui provati per pulirsi il culo e del modo migliore da lui trovato. Nella serie grottesca, da lui sviluppata, in qualità di nettaculo figurano: la mascherina di velluto di una damigella, la sciarpa da collo della medesima, una cuffietta di raso, il berretto di un paggio, un gatto mar­zolino (che con le grinfie gli ulcera il perineo), i guanti di sua madre profumati di belgioino, salvia, finocchio, maggiorana, foglie di cavolo, insalata, lattuga, spinaci (la serie commesti­bile), rose, ortiche, coperte, tendine, salviette, fieno, paglia, lana, un cuscino, una pantofola, un carniere, un paniere, un copricapo. Il nettaculo migliore risulta essere un «papero ben piumato » : « ... sentirete al buco del culo una mirifica vo­luttà: sia per la soavità di quel suo piumetto, che per il tem­perato calor naturale del papero, il quale facilmente si comu­nica al budello colare, e quindi agli altri intestini, risalendo cosí fino alla regione del cuore e del cervello». Poi, rifacendo­si all'«opinione del nostro maestro Gian Scoto», Gargantua afferma che la beatitudine degli eroi e semidei nei Campi Eli­si viene dal fatto che si nettano sempre il culo con un papero.
Nella conversazione sui «miracoli avvenuti per virtù delle Decretali», conversazione fatta dopo cena nell'isola dei Papimani, nella serie degli escrementi sono introdotte le Decre­tali del papa. Fra' Giovanni le usò una volta come nettaculo e gli vennero ragadi ed emorroidi. A Panurge invece, per aver letto le Decretali, capita una stitichezza terribile.

Michail Bachtin, Estetica e romanzo, pag. 335

martedì 2 agosto 2011

Il ristorante di una città qualunque

Del caldo sembrano soffrirne tutti, ed anche lei d'estate mette abiti leggeri.
Quasi deserta... nuda. E passionale, pronta a scoprire alcune sue parti intime, visibili a pochi.
Come un amante cammino in lei, osservo le sensuali curve, come gli abiti cadono e disegnano i lineamenti delle sue forme. Il mio sguardo attraversa la trama e ordito delle vesti e riconosco cicatrici, sofferenze, dolori.
Rimango a fissarli.
Lei, dolcemente, solleva il mio mento con l'indice e penetra nei miei occhi. Inizia a leggere i luoghi in cui l'ho vissuta: incontri, rivelazioni, attimi, pianti, sorrisi. Il suo viso si illumina disegnando con le labbra una falce di luna. Lei conosce i miei segreti, paure, sogni, amori.
E ritrova nella mia vita la sua. E viceversa.
Mi abbraccia.
Poi mi fa cenno di andare.
E' ora di rimettersi in cammino.
E mi ritrovo ad un altro inizio, in un ristorante pieno di bolognesi.
E quando una signora, dolce e bella come mia nonna, serve il caffè
mi commuovo per quanto sia buono.

Il dolore è facile da ascoltare, quello ti arriva addosso, urla, ha una voce terribile, è sempre lui a raggiungerti. La speranza è una vocina sottile, bisogna andarla a cercare da dove viene, guardare sotto il letto per poterla ascoltare. O venire in una stazione.
[Stefano Benni, Bar Sport duemila]

venerdì 29 luglio 2011

Wile

E' incredibile quanto sia facile cadere nell'inaspettato.
Provo in tutti i modi a raggiungere il mio scopo ed ogni volta rimango sorpreso, perso, amareggiato dal fallimento. Ad ogni tentativo sono sempre convinto di farcela e, al massimo, porto come riparo l'ombrello regalatomi dalla cugina nana di Mary Poppins.
L'inaspettato conserva in sé quel senso di vuoto, fallimento, melanconia... i momenti in cui sparisce il terreno senza che te ne accorga. Ritrovarsi senza suolo e, dopo qualche istante di pausa e circospezione, rendersi conto di essere sospeso nel vuoto e, nell'istante dopo, precipitare.
Il contatto con la terra non è morbido, anche se prende la forma del mio corpo rimango ferito.
Ripenso a tutte quelle volte che il suolo mi scompare sotto le zampe. Zampe sicure della terra che calpestano, altrimenti non ci sarebbe nulla di inaspettato, semmai "sospettato". Gli amici mi dicono che dovrei aver imparato a raggiungere il traguardo:
- Di esperienza ne hai fatta - mi dicono - ormai saprai evitare le cadute -.
Li guardo e accenno un ghigno scuotendo la testa, sguardo basso, coda pure. Non capiscono che io stesso mi stupisco a ritrovarmi come un piccione senz'ali.
Sembra come ci fosse uno sceneggiatore che si diverte a strapazzarmi per il grande pubblico ed io fossi solo un personaggio di qualche cartone animato. Ho dei momenti in cui penso di essere veramente conosciuto! Qualcuno mi ha persino affermato di aver ascoltato una canzone sul mio conto...
Tornando al vuoto e all'inaspettato, temo proprio che non sarà l'ultima volta che sbatterò il muso.
E' dura la vita di un coyote.

giovedì 2 giugno 2011

Le risaie del male

La forza del contrasto, la distanza degli opposti: inconciliabili, irrisolvibili.
Le frasi con i "se", i "però".
Le eccezioni, i corollari.
L'immagine di una candela con la fiamma di ghiaccio
Una canzone canta della pioggia che prende fuoco.
Un riso amaro provenuto dall'inferno
credevo non potesse esistere

giovedì 12 maggio 2011

Petit Tom

A Tom la scuola non piaceva granché. Per la maggior parte del tempo passava le ore in classe pensando ad altro. I giorni senza scuola però gli sembravano ancora peggiori. Almeno da qualche mese. Almeno da quando suo fratello morì d'improvviso. Alcuni cercavano di spiegargli il lutto con aggiunte di saccarosio, ma Tom aveva persino smesso di mangiare dolci.
Tom sapeva bene cos'era la morte. L'ha conosciuta e vissuta in alcuni film che scaricava da internet.
Ed eccolo in vacanza in uno stato di vuoto incomprensibile. Un giorno decise che la soluzione a questo vuoto fosse stancarsi. Stancarsi già dalla mattina, così da passare il resto della giornata nel fiacco torpore dello sfinimento. Quindi si vestì leggero e disse alla mamma che sarebbe uscito a fare un giro. La madre, che comprese il delicato periodo, le disse "certo" come fosse consuetudine vedere il figlio lasciare casa col sole appena sorto.
Tom si rese conto che fuori era più freddo del previsto. La neve posava bianca nelle zone erbose, parchi e aiuole, ma sulla strada era rimasto ghiaccio, neve compressa che sarebbe presto diventato quell'odioso mix di granita nera di smog ed asfalto.
D'improvviso iniziò a correre, saltare, muoversi all'impazzata nel soffocante silenzio che lo circondava. Passò un tempo incalcolabile troppo breve e troppo infinito insieme.
Poi tutte le forze del mondo si opposero a lui.
Dopo l'ultimo scatto energico verso l'orizzonte cadde sulla neve gelata.
Il pianeta si fermò.
Solo allora si rese conto che poteva fermare l'universo.
Solo allora si rese conto che non avrebbe mai più rincontrato chi desiderava.

mercoledì 4 maggio 2011

A pié pari nella pozza

Caldo. Troppo per essere primavera.
Tom quella sera lasciò nel suo zaino la felpa, inutile coprirsi.
Poi, la notte, la tempesta.
Poi, la mattina, le nubi.
Raggi di sole.
E un lampo lacera il sereno nel susseguirsi di grigi minacciosi.
Fermo battito, respiro. Occhi tondi, fissi nel perduto.
Tom osserva le strade fradice di pioggia che riflettono il cielo.
Un desiderio bambino gli dona il primo attimo di leggerezza.
Un desiderio che avvera.

La chiamano regressione, io la chiamo piacevole fuga.
Unica certezza: Tom deve mettere ad asciugare le scarpe.

mercoledì 27 aprile 2011

The end of love (in the lover's eyes)

"Era steso al suolo. In questi ultimi giorni è molto stanco e dorme spesso. Non voglio disturbarlo, anche se vorrei si coricasse su qualcosa di più soffice come un materasso. Poi aprì gli occhi e mi guardò bellissimo. Sorrise. Sorrisi. Quel momento mi sembrò eterno. I suoi occhi mi catturarono come sempre e lo stomaco si strinse dall'emozione. Non capisco il significato di quello sguardo, ma in quel momento poco importava. Il mio corpo inizia ad avvicinarsi al suo per incanto, come spinto da una forza esterna. La conosco questa forza... è desiderio, è amore, è passione. Mi avvicinai a lui e accorciai la distanza tra me ed il suolo. Gli accarezzai il capo, il collo, le spalle ed il braccio che sfiora le mie ginocchia appoggiate nello stesso pavimento dove lui era adagiato. Non si mosse, ma speravo che i miei gesti potessero dargli piacere. Dopo un po' toccai le sue labbra con le mie... e respirai vita. Negli ultimi giorni, dopo averlo baciato, sentivo uno strano sapore in bocca che mi infastidiva. All'inizio ho tentato di non farci caso, ma ultimamente ho bisogno di sciaquarmi. Spero si riprenda presto, ho voglia di rivederlo in forma, pieno di energia positiva, pieno di affetto che mi rallegrava ogni singolo minuto della giornata. Tornata dal bagno lo ritrovo nel mondo dei sogni... e sorrido." Hanna Nansbury ha sofferto un grave shock dopo la morte accidentale del fidanzato Fabrién De Santiago nella casa di proprietà del defunto. La mente di Hanna ha "deciso di proteggersi" da tale shock continuando a vederlo vivo. La ragazza seguiva la sua vita normalmente, motivando l'immobilità del ragazzo con l'estrema stanchezza dovuta ai suoi intensi giorni lavorativi e ginnici. La polizia è stata chiamata da amici di Fabrién, dopo numerose chiamate non risposte al cellulare di lui e gli "strani atteggiamenti" di Hanna che gli stessi amici avevano iniziato a notare in lei dopo la scomparsa del fidanzato. Le forze dell'ordine hanno ritrovato il corpo del ragazzo in elevato stato di decomposizione. Nel bagno sono stati trovati tre scatoloni di Listerine, un prodotto liquido per l'igiene orale. Oggi Hanna è ricoverata nell'ospedale psichiatrico Chin Gu Huan a Pechino, unica struttura con qualche possibilità di curare la ragazza e la sua difficoltà a "lasciare andare" il suo grande amore. La prognosi è riservata, ma lo staff ha rilasciato una dichiarazione nella quale si spiega che Hanna, a differenza della maggioranza dei casi, non si vuole suicidare per "raggiungere" il suo amato. Nonostante la sua estrema ed evidente sofferenza, non si capisce perché sia ancora così legata alla sua vita.

Hope has a place in a lover's heart

martedì 1 febbraio 2011

Sedili retrovisori

Era assorto nei suoi pensieri, tra i free entry che non ha sfruttato e il suo singolare periodo caotico.
Poi la corriera si fermò davanti a lui ma, come spesso succede, l'entrata del veicolo è sempre a qualche metro di distanza da dove il passeggero attende l'automotore.
Entrato obliterò il biglietto come di consuetudine, non avendo più l'abbonamento annuale usato nei periodo nei quali i viaggi in autobus erano assai più frequenti. Come al solito si siede dove trova spazio, ritrovandosi in uno dei sedili con lo schienale rivolto verso la coda del mezzo di trasporto. Iniziò a chiedersi perché gli capitava così spesso di dare le spalle all'autista. Sembrava quasi fosse una scelta...

Essere ancorati al passato, vedere la strada che stiamo percorrendo, notando i particolari quando già li stiamo lasciando, allontanandoci. Uno sguardo dedicato solo alla perdita e alla sfuggevolezza degli eventi che forse mai più torneranno. E' per questo che Eddy si siede sempre in quei sedili: è nostaglico. Ma c'è anche un'altra possibilità, ossia che abbia timore di vedere cosa gli aspetta, timore di affrontare il suo cammino, il suo percorso, la sua vita con coscienza, a testa alta, assecondando le proprie paure.

Eddy si svegliò. La sonnolenza lo aveva assalito.
Aveva perso la sua fermata, e dovette scendere a quella successiva per tornare indietro.
Tornare indietro.
Ancora una volta.

venerdì 7 gennaio 2011

C'è un tesoro in ogni dove

Notte.
La luna illumina la strada bianca ed ai lati solo acqua, luci ed i suoi riflessi.
Gli attraversano la mente luoghi, passioni, amori, poi sensazioni, emozioni. La testa si scalda e la vista si annebbia. Inizia così a pedalare più forte... magari i pensieri scivolano via come quelle gocce che gli stanno bagnando il volto. Corre a più non posso perché vuole arrivare in fondo, alla fine, capire tutto.
Poi rallenta.
La bicicletta si ferma alzando una piccola nuvoletta di polvere. La adagia in mezzo all'erba e si siede al suo fianco, con lo sguardo verso la lingua di luce lunare che illumina la calma superficie acquatica. Attorno a sé c'è qualcosa di magico.
Vale la pena regalarsi un momento di pace.

the sea is wide and I cannot swim over
And neither have I the wings to fly
If I could find me a handy boatman
To ferry me over my love and I
[lyrics from Carrickfergus]

giovedì 6 gennaio 2011

New blogger in town

L'ennesimo nuovo inizio.
Innumerevoli argomenti possono già essere esposti.
Ma adesso c'è proprio bisogno di dormire.