giovedì 11 agosto 2011

You must love me (ogni uomo è suddito agli occhi di un re)

Why are you at my side?
How can I be any use to you now?

Il Principe andò a trovare la Principessa alla sua dimora. Si erano conosciuti durante la Notte dei Limoni e da allora il desiderio di rivedersi voleva essere esaudito da entrambi. La Principessa gli annunciò di farsi trovare al Grande Cancello quando il sole avesse toccato la punta più alta del cielo, e lì di aspettare.
Così fu...
Arrivato a destinazione, il Principe si stupì che la Principessa non abitasse in un castello, bensì in una grande dimora. Seguì l'alto muro di recinzione fino ad arrivare davanti a due enormi lastre di ferro che facevano da cancello. Oltre le mura si poteva osservare il tetto della nobile reggia, alberi in fiore, farfalle. Il Principe si emozionò: così tanta bellezza in uno scorcio di cielo. Voleva vedere al suo interno, ma arrampicarsi non era possibile. Poi, osservando più attentamente, vide una parte più consumata del cancello che incorniciava una fessura. Appena prima di avvicinare gli occhi ad essa si accorse subito di avere appoggiato le mani e la fronte sulle zone del cancello più chiare e lucide, segni di usura dovuti ai numerosi viandanti con la stessa curiosità di sbirciare.
All'interno un maestoso giardino e una reggia regale.
Il Principe fu segnato da una lacrima. Amore e passione.
Dalla fessura si potevano respirare persino il profumo dei fiori.
Il Principe rimase immobile per un tempo indefinito a scrutare ogni angolo osservabile da quella stretta fessura fino a quando il Grande Cancello si mosse ed iniziò ad aprirsi.
Lo stomaco gli balzò in gola e il battito cardiaco accelerò. Con incedere elegante e gli occhi desiderosi di vederla entrò nel giardino. Un particolare, che tanto particolare non era, fu scoprire che i colori non erano così brillanti come vide dalla fessura, ma tutto era più tenue, malinconico e solitario. La magia che però più colpì il Principe fu il notare l'allontanarsi di piante, statue, oggetti ad ogni suo passo. Non poté avvicinarsi a nulla. Ebbe timore che persino il gesto di toccare il suolo portasse a farlo sprofondare in un baratro.
Alzò lo sguardo e la vide ad aspettare davanti all'ingresso della casa. L'edificio sembrava ben diverso da quello scrutato dalla fessura. Ai suoi occhi, ora, quella reggia era un palazzo dall'antico fascino ma carente di ogni cura.
Poi lei: bellissima, leggera, sorridente, vivente ma quasi eterea. Entrambi si guardarono e sorrisero: uno dei loro momenti più veri e profondi. Il Principe voleva baciarla, toccarla, per un attimo pensò che avrebbe potuto vivere l'intera vita con lei. Non fece trapelare alcuna fantasia e si inchinò al suo cospetto, come umile e fiero cavaliere. La Principessa rispose con un inchino poco regale e, da quel suo gesto, si riconobbe un diverso approccio ai più consueti insegnamenti dati ad ogni fanciulla di nobile famiglia. Lei accennò un gesto di accoglienza e gli disse:
- Ora ti mostrerò la mia casa. Segui ogni mio passo e non toccare nulla -
Insieme entrarono.
All'interno del palazzo si stupì della totale assenza di persone: la Principessa viveva da sola in un edificio abbandonato. Ogni angolo era in disuso, montagne di oggetti accatastati coprivano le pareti. Ogni cosa attorno a loro sembrava essere fatta di una lega magica di ferro, legno, ogni tipo di materia con carne viva in putrefazione. Il Principe voleva fare domande, ma qualcosa lo trattenne. Voleva baciarla, ma in quel momento preferì seguire il suo passo e aspettare che fosse lei a dare segnali. La Principessa però non disse mai nulla e per tutto il cammino non fece che indicare al Principe zone del luogo.
Fu ad un certo punto che il Principe notò l'ennesimo particolare: dal braccio sinistro della Principessa fluiva un rivolo di sangue che scendeva sul palmo della mano fino all'anulare. Dal dito cadevano gocce sul un suolo che sembrava assorbirlo come fosse nutrimento vitale.
Salirono la scalinata centrale e il Principe si aiutò appoggiandosi al corrimano. Tutto poi si svolse in un attimo: il Principe ritrasse d'impulso la mano e la vide imbevuta di rosso; il rivolo della Principessa scorse d'improvviso più forte e il flusso le coprì l'intero braccio. Lei si girò, e con sguardo fermo e deciso gli ricordò di non toccare nulla. Lui non si scusò, ma si rivolse amorevole e preoccupato. Nessuno ha mai saputo cosa egli disse, ma si racconta che il Principe conoscesse un modo per alleviare la sofferenza della sua amata. La Principessa però non voleva ascoltare e sollevò un muro invalicabile per proteggersi. Il muro non c'era, eppure il Principe lo vedeva. Sembrava della stessa materia di ogni cosa all'interno della dimora. La Principessa diede poi le spalle al Principe e riprese la scalinata. Il Principe avrebbe voluto sfondare il possente muro che la fanciulla aveva costruito intorno a sé, ma temeva di farle ancora dolore. Poi capì che il muro era un'illusione. Andò così al fianco della fanciulla e le prese la mano insanguinata. La mano della Principessa rimase immobile. Lei si ferma e gli rivolse il viso. Il suo sguardo era dolce, amorevole ma nel contempo distaccato. Sembrava desiderasse affetto e aiuto ma il Principe dedusse che affetto e aiuto erano proprio stati carnefici della sua maledizione.
La Principessa sfilò la mano e continuò la scalinata fino in cima, poi si fermo e senza girarsi disse:
- Ora devo andare - e si diresse verso l'oscurità del palazzo fino ad esserne inghiottita.
Il Principe rimase immobile ed interdetto. Sentì una fitta e qualche traccia di sangue cadde sul pavimento. Le sue gocce però non venivano assorbite dal suolo stregato.
La Principessa non tornò. Il Principe provò a chiamarla ed aspettarla, ma invano. Poteva solo andarsene. Solo allora si accorse che uscire dal palazzo sarebbe stato più difficile che entrare: il portone era chiuso. Il Principe sapeva infatti che avrebbe ancora fatto soffrire la Principessa, ma non sembrava esserci altra scelta. Così prese deciso la maniglia e si aprì l'uscita. Le sue orecchie erano in allerta, sarebbe corso in soccorso all'ascolto di ogni suono lieve di sofferenza o grido di dolore, ma nulla.
Nuovamente nel giardino vide al fondo il cancello già aperto.
Osservò per l'ultima volta quel luogo magico e irreale.
Scorse le finestre sperando di incrociare ancora una volta il suo sguardo.
Si incamminò lasciando alle spalle orme di un sangue non suo.

martedì 9 agosto 2011

Il Nettaculo

Spulciando le vecchie ricerche universitarie tornano alla luce Perle di Conoscenza.
Quando la serendipità fa capolino la gioia pervade e tutto il resto è noia.

[...] Passiamo alla serie degli escrementi. Questa serie occupa un posto di non scarsa importanza nel romanzo. Il contagio di Antifysis ha imposto una forte dose di antidoto di Fysis. La serie degli escrementi serve fondamentalmente a creare i più inattesi vicinati di cose, fenomeni e idee che distruggono la gerarchia e materializzano il quadro del mondo e della vita.

Come esempio di creazione di vicinati inattesi può servire il «tema del nettaculo». Il piccolo Gargantua pronuncia un discorso sui vari modi da lui provati per pulirsi il culo e del modo migliore da lui trovato. Nella serie grottesca, da lui sviluppata, in qualità di nettaculo figurano: la mascherina di velluto di una damigella, la sciarpa da collo della medesima, una cuffietta di raso, il berretto di un paggio, un gatto mar­zolino (che con le grinfie gli ulcera il perineo), i guanti di sua madre profumati di belgioino, salvia, finocchio, maggiorana, foglie di cavolo, insalata, lattuga, spinaci (la serie commesti­bile), rose, ortiche, coperte, tendine, salviette, fieno, paglia, lana, un cuscino, una pantofola, un carniere, un paniere, un copricapo. Il nettaculo migliore risulta essere un «papero ben piumato » : « ... sentirete al buco del culo una mirifica vo­luttà: sia per la soavità di quel suo piumetto, che per il tem­perato calor naturale del papero, il quale facilmente si comu­nica al budello colare, e quindi agli altri intestini, risalendo cosí fino alla regione del cuore e del cervello». Poi, rifacendo­si all'«opinione del nostro maestro Gian Scoto», Gargantua afferma che la beatitudine degli eroi e semidei nei Campi Eli­si viene dal fatto che si nettano sempre il culo con un papero.
Nella conversazione sui «miracoli avvenuti per virtù delle Decretali», conversazione fatta dopo cena nell'isola dei Papimani, nella serie degli escrementi sono introdotte le Decre­tali del papa. Fra' Giovanni le usò una volta come nettaculo e gli vennero ragadi ed emorroidi. A Panurge invece, per aver letto le Decretali, capita una stitichezza terribile.

Michail Bachtin, Estetica e romanzo, pag. 335

martedì 2 agosto 2011

Il ristorante di una città qualunque

Del caldo sembrano soffrirne tutti, ed anche lei d'estate mette abiti leggeri.
Quasi deserta... nuda. E passionale, pronta a scoprire alcune sue parti intime, visibili a pochi.
Come un amante cammino in lei, osservo le sensuali curve, come gli abiti cadono e disegnano i lineamenti delle sue forme. Il mio sguardo attraversa la trama e ordito delle vesti e riconosco cicatrici, sofferenze, dolori.
Rimango a fissarli.
Lei, dolcemente, solleva il mio mento con l'indice e penetra nei miei occhi. Inizia a leggere i luoghi in cui l'ho vissuta: incontri, rivelazioni, attimi, pianti, sorrisi. Il suo viso si illumina disegnando con le labbra una falce di luna. Lei conosce i miei segreti, paure, sogni, amori.
E ritrova nella mia vita la sua. E viceversa.
Mi abbraccia.
Poi mi fa cenno di andare.
E' ora di rimettersi in cammino.
E mi ritrovo ad un altro inizio, in un ristorante pieno di bolognesi.
E quando una signora, dolce e bella come mia nonna, serve il caffè
mi commuovo per quanto sia buono.

Il dolore è facile da ascoltare, quello ti arriva addosso, urla, ha una voce terribile, è sempre lui a raggiungerti. La speranza è una vocina sottile, bisogna andarla a cercare da dove viene, guardare sotto il letto per poterla ascoltare. O venire in una stazione.
[Stefano Benni, Bar Sport duemila]