Tutti gli scatoloni erano
entrati nell'auto, anche se con grande difficoltà. Madeline sistemò
al meglio il sedile per poter guidare senza noie. Azionò l'auto che
si avviò al primo colpo. Poi spense il motore. Si accorse di non
aver lasciato le chiavi sotto lo zerbino come la padrona aveva
richiesto. Così uscì dalla vettura e, arrivata alla porta... esitò.
Inserì la chiave nella serratura ed entrò nell'abitazione. Dentro
era spoglia ma manteneva i segni della sua esistenza: le impronte dei
quadri lasciate sul muro, tavoli segnati, le sagome nelle superfici
dove la polvere non si era ancora depositata. L'eco risuonava più
che mai prima. Nonostante il sole sparasse intensi raggi all'interno
era come se piovesse. Madeline fissò uno spigolo, avrebbe voluto
staccarlo e portarlo via come ricordo. Fece un lento girò di tutte
le stanze accarezzando le pareti, il saluto funebre di un addio. A
cammino concluso si sdraiò al suolo proprio al centro della grande
stanza d'ingresso. Cercò il vuoto dentro di sé, un attimo di pace,
il raccoglimento prima di un nuovo viaggio, una preghiera silenziosa
che si affaccia sull'ignoto. In Madeline riemerse un pensiero
ritrovato nell'autunno ormai arrivato al termine: la scadenza degli
amori e lo svanire della bellezza nel netto contrasto col desiderio
di averli entrambi per l'intera vita. Dal suo momento malinconico
sorse una piccola curva che segna le labbra: la consapevolezza della
banalità e la serenità di potersi permettere il lusso di tali
vaneggiamenti.
Si sedette e strinse le
ginocchia a sé. Iniziò a toccarsi le spalle, poi le braccia, le
gambe come per coccolarsi, come per sentire i suoi confini, margini,
spigoli. Si ritrova umana, limitata, viva.
Dopo un tempo indefinito
si rialzò: era ora di partire. Uscì chiudendo la porta e diede
tutti e quattro i giri di chiave. Quando esse caddero dentro la
buchetta riprodussero un suono intenso ma si dissolse in un istante,
lasciando più silenzio di prima. Un silenzio che non avrebbe
ascoltato per molto tempo.
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